Polvere magica: una storia d’erotismo in tre parti

Continua la nostra incursione nell’erotismo con un nuovo e peccaminoso racconto, selezionato per voi amici di Cooletto, dai migliori blog e newsgroup specializzati.


Polvere magica.

  • prima parte

Assunsi la decisione di fare l’infermiera il giorno in cui vidi mio fratello, allora dodicenne, appartarsi con alcuni coetanei dietro la legnaia di casa e masturbarsi.
Si misero seduti sull’erba del prato.
Formarono un cerchio e iniziarono a confabulare fra loro.
A quel tempo ero una bambina ed incuriosita dal loro modo di fare andai a nascondermi dietro il fusto di un grosso albero e rimasi ad osservarli, senza capire di preciso cosa stessero combinando.
Uno dopo l’altro si slacciarono la patta dei pantaloni e tirarono fuori il pisello.
L’impressione che ne ebbi fu di un rituale magico, tanto mi appariva misteriosa la cosa.
Poi, ad un comando di quello che fra loro sembrava essere il capo del gruppo, iniziarono a toccarsi.
La scena m’incuriosì a tal punto che ancora oggi ne porto vivo il ricordo insieme a poche altre cose che hanno segnato la mia vita.
Quella, infatti, fu la prima scena di sesso cui mi capitò d’assistere.
Dal concitato parlare dei ragazzi intuii che si trattava di una gara il cui vincitore sarebbe risultato chi fra di loro avrebbe eiaculato per primo nel prato.
Nonostante mio fratello fosse il più giovane d’età, aveva l’uccello più sviluppato rispetto a quello dei suoi compagni e si aggiudicò la competizione dopo pochi tocchi di mano.
In quella occasione provai una certa invidia nei suoi confronti e dei compagni di gioco.

Desiderai ardentemente di avere fra le gambe un “coso” come il loro.
Invece avevo solo una piccola fessura che detestavo e mi faceva sentire diversa ed inferiore ai maschi.
Mi resi conto ben presto che non potevo essere come una di loro.
L’unica cosa che mi restava da fare era prendermi cura dei loro corpi, così presi la decisione di fare l’infermiera.
Da quell’evento sono trascorsi parecchi anni, circa quindici.
Di uomini ne ho avuti tanti, anzi parecchi, ma non ho mai abbandonato il desiderio di possedere fra le cosce quell’oggetto, quel “coso” che solo i maschi hanno.
Non sono lesbica, ma non disdegno essere ammirata dalle donne.
Ho un fisico che molti uomini giudicano uno schianto.
Quando cammino per strada o entro nei negozi, sento su di me lo sguardo della gente che mi circonda. A dire il vero faccio di tutto per non passare inosservata. Mi piace indossare gonne attillate, corte al punto da mettere in luce la parte superiore delle autoreggenti e le mutandine. Ho le tette sode, integre, perfette, com’erano quando avevo sedici anni. Le gambe le ho affusolate, dovreste vedermi quando indosso tacchi alti. Calzo scarpe con tacchi a spillo in ogni occasione, salvo sul luogo di lavoro.
I capelli neri e lisci mi cascano sulle spalle, ma durante il servizio in ospedale ho l’abitudine di coprirli con la cuffia od il velo.
Forse vi chiederete cosa mi spinge questa sera a confidarmi con voi.
Penserete che sono una di quelle donne cui non mi manca niente per essere sessualmente felice.
Invece no, non è così. Lo ammetto, mi manca ancora “quel coso” fra le cosce.
Forse vi chiederete perché mi dilungo in queste riflessioni.
Questa, per me, è una serata molto particolare, straordinaria direi.
Ho un appuntamento.
Sì, un convegno d’amore con una donna: la Giusy.
A questo incontro ci penso da tre giorni, dalla sera in cui sono stata avvicinata nello spogliatoio da questa collega di lavoro.
Lei ha finto di perdere l’equilibrio e ha adagiato con noncuranza una mano sopra un mio seno.
– Cavoli. Se ce li hai sodi! – assentì, scostando le dita.
Mi prese una mano e l’accompagnò verso il suo reggiseno.
– Senti le mie tette. Che te ne pare?
Al contatto con la sua pelle un lungo brivido mi percorse il corpo da capo a piedi.
Mi ritrovai un capezzolo tumido fra le dita.
Istintivamente scostai la mano e mi allontanai.
Da parecchio tempo Giusy mi girava d’intorno, lanciandomi frasi allusive che per inesperienza verso il sesso femminile non riuscivo a recepire.
L’atteggiamento amichevole che avevo assunto nei suoi confronti era stato scambiato come consenziente da parte sua. Ma il modo con cui aveva fatto scivolare la mano sulle mie tette non tollerava equivoci.
Giusy è una ragazza bellissima.
Possiede fianchi stretti che le confluiscono su un paio di gambe affusolate capaci di fare invidia ad una top model. Il viso, già di per sé grazioso, è addolcito dalla mancanza di trucco. Mentre la mia mano aderiva al suo seno, fu lesta nel fare scivolare le labbra sulle mie, premendole sulla mia bocca in un tenero bacio.
Smarrita la lasciai fare.
Un rumore alle nostre spalle, che pareva provenire dal corridoio, mi fece allontanare da lei.
Dopo pochi istanti alcune colleghe fecero il loro ingresso nello spogliatoio.
Ripresi a rivestirmi, turbata da quell’accadimento.
– Ci vediamo mercoledì sera! Saremo di nuovo di turno insieme – disse volgendosi nella mia direzione mentre usciva dallo spogliatoio.
– Proseguiremo il discorso dove l’abbiamo interrotto stasera.

(continua)

[photo courtesy of Milton Twins]

Condividi l'articolo: