Sexy Shop: cadono le inibizioni e non solo in rete

Oggi voglio parlarvi di sexy shop. Ma non nel solito modo, indicandovi prodotto o simili (fermo restando che scoprire che ultimamente vadano per la maggiore dei dildo di vetro mi lasci un po’perplessa, n.d.r), ma di come la gente si approccio a questa realtà ormai diventata parte integrante della vita quotidiana, almeno nel resto del mondo, visto che in Italia è impossibile menzionare la parola vibratore senza prima essere malvisti o zittiti.

Difficilmente in pubblico si parla mai di dildo e lingerie sexy. Traduzione: quando mi capita di parlarne per via di lavoro o per semplice divertimento, a tenere il colpo, sconosciuti compresi, sono solo gli amici di sesso maschile con i quali, ogni tanto, si vocifera addirittura di fare un salto in un sexy shop. Qui in Italia per avere un successo, un sexy shop deve essere online. Difficilmente, a meno che non si tratti di un distributore automatico, un esercizio di questo genere ha lunga vita. Sia per motivazioni economiche che sociali.

Si sa, la morale cattolica e tutto il resto spingono verso una morigeratezza, spesso solo apparente, che scaglia automaticamente l’anatema su tutto ciò che possa riguardare sesso e dintorni. Non è così per esempio in India, dove i vibratori vengono addirittura venduti nei supermercati accanto alle spezie e dove senza colpo ferire, se intervistati, i giovani commessi spiegano che non hanno nessun problema a vendere ad una donna che si affaccia nel loro esercizio commerciale, il compendio d’amore di cui necessitano.

Stessa cosa, ad esempio, avviene negli Stati Uniti dove boutique di alta moda non di rado convivono sullo stesso marciapiede di un sexy shop aperto ventiquattro ore su ventiquattro. E’ la mentalità che è differente. Ed è un peccato constatare come nel nostro paese tale “apertura mentale” manchi totalmente. A discapito poi di un sesso vissuto con decisamente più ironia e meno morbosità.

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