Porno americano fermo per epidemia di sifilide

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Nuovo stop per il porno statunitense. Sembra che non ci sia stagione non funestata da incidenti nel mondo pornografico d’oltremanica. Questa volta a far richiedere una pausa forzata è stata la sifilide. Onde evitare una vera e propria epidemia, gli studios si stanno prendendo il loro tempo per effettuare analisi e prendere le misure di protezione del caso. Con decisioni che potrebbero cambiare il porno come lo conosciamo. Lungi da me chiamare in causa una crisi da bancarotta. Il porno ha sempre venduto e se capace di rinnovarsi continuerà a vendere. La vera rivoluzione consterà, si spera (finalmente), nell’utilizzo del preservativo sul set. Il condom viene visto dall’industria come “l’uomo nero” della situazione, l’accessorio da rigettare totalmente perché “disturba”  la visione dei telespettatori. Ora, ditemi voi, vi da fastidio vedere un attore lavorare con il profilattico? Nel corso della mia carriera giornalistica in questo settore mi è capitato di imbattermi in diverse produzioni straniere, estranee agli Stati Uniti. E localmente, in diversi generi, sia relativi al porno etero che al porno gay, mi è capitato di vedere aitanti giovani dotati di big bamboo, darci dentro come conigli utilizzando il preservativo.

Divertimento assicurato per l’attore, per le case di produzione e per il cliente che acquista o vede il video porno. In tutta sicurezza e in modo soddisfacente. Questo concetto sembra non riuscire a penetrare nelle teste dei produttori statunitensi, nemmeno davanti alla morte di ex attori porno. La sifilide insinuatasi sui set americani conferma questo assunto: si continua a giocare con la vita di persone che diventano automaticamente in questo modo (letteralmente) delle bestie da monta.

I focolai di sifilide sono così cresciuti che gli studios hanno dovuto fermare la produzione per analizzare la situazione degli oltre mille lavoratori del settore nella sola California, dove hanno sede le maggiori case. Che sia la volta buona per ottenere protezione?

Photo Credit | Wikimedia

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