Penthouse fallisce, il porno web vince sulla carta

Penthouse

Penthouse fallisce, e porta con se nell’oblio una vera e propria epoca. Quello dei paginoni patinati, del porno vecchio stampo, dell’eccitazione cartacea e dell’auterotismo nascosto da un paginone centrale. A quanto pare il porno web ha vinto.

E lungi da noi lamentarci per il successo ottenuto dal porno in rete: con la scoperta di internet, l’industria pornografica avrà si perso l’appeal che aveva conquistato attraverso le videocassette ed i dvd ma ha decisamente ampliato il suo raggio di azione, sia attraverso le normali pellicole vendute anche attraverso altri canali commerciali, sia soprattutto attraverso lo streaming ed il download di video porno attraverso portali dedicati.

Ma torniamo a Penthouse: parliamo di una rivista che a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80 riuscì a vendere fino a 5 milioni di copie mensili. Ovvio che la sua sparizione dal mercato, causata dalla richiesta di fallimento della società che la pubblica, la “FriendFinder Networks” ci lascia non solo sconvolti, ma in qualche modo un po’ tristi.

Perché è proprio un modo di fare pornografia che sparisce in questo modo. Pensate a Playboy: forse rispetto a Penthouse lei ha saputo rinnovarsi, mixandosi in modo armonioso con le nuove tecnologie e le normali esigenze di un pubblico che ovviamente non è più quello di 30 anni fa. Ma ovviamente è dovuta scendere a compromessi in qualche modo e non sono comunque tutte rose e fiori.

Non sappiamo dirvi se è un problema di porno soft contro hardcore, ma è ovvio che la fluidità della rete ha influito e non poco, come la morte nel 201o di Bob Guccione, il suo fondatore, il quale ci dispiace dirlo, non è stato in grado di prendere le giuste decisioni al momento nel quale andavano prese.  Con le conseguenze che tutti possiamo tastare con mano proprio attraverso ciò che sta accadendo: un pezzo di storia del sesso patinato che sparisce.

 

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