Boom di divorzi negli anni ’70: colpa di Playboy

Altro che tradimento: per mettere fine a un divorzio basta solo una rivista pornografica, parola dell’Università del Michigan che, a seguito di alcune ricerche, è riuscita a spiegare una questione sociale sulla quale da tempo si stava investigando: ossia l’aumento di divorzi alla fine degli anni ’60.

La ricerca dell’università americana ha cercato di spiegare l’aumento di divorzi negli anni compresi tra il 1962 e il 1979, un periodo che ha visto un importante cambiamento e che, secondo l’Università, sarebbe stato causato da un boom di vendite della rivista pornografica Playboy. La ricerca, dai risvolti impensabili, sarebbe stata in realtà smentita da una seconda ricerca che attesterebbe una percentuale di vendita delle riviste minore al 2%: un risultato molto basso e, per l’epoca, considerevole. 

Una rivista patinata ricca di fotografie di bellissime donne nude ritratte in atteggiamenti lascivi e seduttivi che sarebbero bastati a convincere le donne dell’infedeltà, seppure mai consumata, del loro marito. “Atteggiamenti irrispettosi”, ecco la causa più citata dalle donne americane durante la loro richiesta di divorzio.

Ma la rivista avrà davvero avuto questi effetti sulla vita di coppia? Ricerca e studi a parte, se fosse davvero così oggi le coppie non convolerebbero neanche più a nozze: l’arrivo del web ha infatti reso le informazioni (di ogni genere esse siano) così accessibili da risultare impossibile, per l’uomo come per la donna, non cedere alla tentazione di leggere una notizia o guardare materiale video e foto un po’ piccante. Dobbiamo comunque ammettere che, dagli anni ’70 ad oggi, la sessualità è cambiata notevolmente, soprattutto nella mente femminile: oggi le donne convivono con i loro desideri sessuali, con la loro sessualità in generale e non hanno timore di chiedere al partner ciò che desiderano per ottenerlo senza essere etichettate negativamente.

Cosa ne pensate? In Italia sarebbe accaduto lo stesso in quegli anni? A voi l’ultima parola…

Photo Credits | Thinkstock

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