Racconti erotici: Post Coito

La prima cosa che fai quando ti alzi dal letto è aprire le tende.
«È per far entrare un po’ di luce» mi dici. Intanto lo fai sempre, anche se sono le cinque del mattino, e fuori è ancora buio. Ti sporgi appena dalla finestra e guardi il mondo che è là fuori. Nel frattempo io guardo te, guardo il tuo corpo nudo, immobile nella penombra. E naturalmente guardo il tuo cazzo, che ad ogni battito delle mie ciglia si solleva un poco, vuoi per abitudine, vuoi per vanità.

Racconti Erotici: Bello

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Se al posto tuo ci fosse un altro, per descriverlo userei parole come “affascinante” o “intrigante”. Parole che non significano niente, e che alla fine uso solo per prendere in giro chi pensa di avere qualcosa da dire, o da dimostrare. Invece, tu per me sei “bello”. Bello da qualsiasi punto di vista io ti guardi, bello sotto ogni angolazione, di fronte o di profilo, illuminato dalla luce o perso nel buio di una tenda spessa un dito. Bello quando ti muovi nel sonno, bello quando ti alzi e resti per un attimo al centro della stanza, nudo, immobile, coi segni del cuscino ancora sulla faccia. Bello quando vai a pisciare e lasci la porta aperta, perchè in fondo non te ne frega niente del pudore, o della privacy, o di me.

Io non cambio idea facilmente, questo l’hai imparato col tempo, e l’hai imparato a tue spese. Oggi ne porti i segni, domani ne andrai addirittura fiero. Io sono quella piccola ruga che si nasconde sotto il tuo occhio sinistro, io sono la novità, il mistero, il pericolo che cercavi. Io sono il corpo che scavi con la mente, con le mani, con la lingua. Sono la bocca semi aperta che cerca la tua pelle, sono il morso che ti blocca alla gola, sono il pugno che ti ha colpito quando non te l’aspettavi. Sono il corpo che vorresti raccontare, se prima avessi imparato a leggere. Ma la grammatica non ti interessa, e puntualmente chiudi gli occhi sulle avvertenze e precauzioni d’uso che sono scritti sulla mia pelle. Io sono l’effetto indesiderato.

Racconti Erotici: Stanza d’albergo

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Stanza d’albergo – un racconto di Cristiana Danila Formetta.

Sei buffo quando dormi. Tutta la tua faccia si rilassa, e affonda completamente nel cuscino. La piega delle guance diventa più morbida, e la bocca si schiude in uno sbuffo. Ecco, se mi avvicinassi adesso, potrei respirare il tuo fiato, e toglierti così un po’ di vita. Oppure, potrei stringermi teneramente a te, legare questo corpo magro al mio, chiederti se mangi mai abbastanza, e forse dubitare della tua parola, rimproverarti di non saper badare a te stesso. Ma potrei anche fregarmene di tutto questo. Mandare la dolcezza al bando e toccarti, da sotto le lenzuola. Mille carezze che ti costringono ad aprire gli occhi, e mani che all’improvviso smettono di essere inerti per rispondere al mio invito. Posso fare mille cose, stanotte. Posso sfinirti. Spaccarti il cuore con un sorriso. Posso ucciderti, e soffocarti con un bacio anziché con un cuscino. Diventare ladra e assassina per un amore clandestino. Posso fare mille cose, e invece niente. Non mi muovo. Ti osservo che dormi beato e sembri felice. Io non ci riesco.
Ho già provato a chiudere gli occhi e contare le pecore. Le ho contate una ad una. Poi in coppia, e alla fine credo di aver contato l’intero gregge senza nemmeno un accenno di torpore. Non ho sonno, e una veglia forzata mi costringe a pensare a cosa è andato storto, questa volta.
Cosa c’è che non va? Cos’è che non mi fa dormire?

Non è colpa tua, non è colpa della tua faccia che continuo a fissare, invece di addormentarmi. La tua faccia mi piace, è bella, mi fa star bene. Sapessi quante volte ho sognato di averla qui accanto sul guanciale per una notte intera, e stare a guardarti. Anche il tuo corpo è molto bello, magro come quello del Cristo, sacro per me più di un altare. Non è colpa tua, non è colpa del sesso. Anche quello è stato magnifico. Magnifico è spogliarti, toglierti di dosso i pantaloni, la camicia, baciarti il petto un’infinità di volte, sentire quelle gambe lunghe e magre fra le mie. Magnifico, certo. E terribilmente provvisorio. Perché tu ed io sappiamo che domani al risveglio, saremo ancora costretti a far ritorno ognuno a casa sua, ognuno fra le braccia dell’altra o dell’altro. L’altro che non sei tu, amore mio.